
Pi: il teorema del delirio
(Pi, USA 1998)
Regia: Darren Aronofsky
Attori principali: Sean Gullette, Sol Mark Margolia, Ben Shenkman, Stephen Pearlman
RECENSIONI
- Claustrofobia, ossessione e un'altra fuga segnano PI. Pressione a mille in quest fanta thriller di Darren Aronofsky, premiato al Sundance, a Edimburgo e a
Rotterdam, che parte dalle quattro leggi di Max Cohen, il protagonista, sulla matematica.
1) La matematica è il linguaggio della natura
2) Tutto ciò che ci circonda può essere rappresentato e compreso attraverso
i numeri
3) Se si traccia il diagramma numerico di qualsiasi sistema si otterr&agraeve; il modello
4) In natura ci sono modelli ovunque
Max è ossessionato dalla matematica, fino alla paranoia. Il suo computer Euclide
lo porta ad un passo dalla scoperta della chiave che regola la combinazione della
Torah, un linguaggio simile al linguaggio di Dio. Trovare questa chiave significa entrare
in possesso di un potere demiurgico senza precedenti: si possono scalare i
mercati finanziari, ad esempio, è questo è il motivo per cui Max viene
inseguito da agenti segreti e dai rabbini, suoi parenti non tanto lontani. Un bianco e
nero che rimanda all'underground anni '80, un montaggio serratissimo ed una colonna
sonora elettronica e tiratissima (tracce di Aphex Twin, Gus Gus, Massive Attack e
Orbital) attanagliano Max e lo legano all'onirico e alla visione. Max vive nel conteggio
del pi greco, sulla scia dei fratelli Chudnovsky, che sono arrivati a contare
anche 5 bilioni di decimali. Ciò che gli interessa di più sono i processi e le regole, oltre la vera scoperta. Vive la matematica come si vive una disciplina. La ricerca
della Torah e le pressioni rovinano la purezza di questo esercizio. La tensione è
davvero al limite del sostenibile. Max arriva alla follia ossessionato da questa
scoperta, ma poi vi rinuncia e passa la mano (forse alla bambina che gli parla di
matematica per tutta la durata del film?).
di Cosimo Santoro, tratto da
http://www.fmcinema.com/opinioni/adriat.html
-
Non capita spesso che ci si senta cambiati, dopo aver visto un film, come fosse una vera
esperienza. Succede solo dopo aver visto un film "denso", un film che abbia molti piani di
lettura che si intrecciano e che contribuiscano a dare, all'esperienza della visione la totalità
che la rende simile a quella vera.
Veniamo tirati a forza dentro la mente di Maximilian Cohen, un matematico newyorkese
paranoico e geniale. Dapprima cerchiamo di capire cosa appartenga alla realtà "oggettiva"
e cosa alla realtà filtrata dalla coscienza di Max, alla sua interpretazione della realtà, alle
sue allucinazioni, poi non ci interessa più - ci si abbandona a questa "realtà di un altro",
splendida metafora del cinema stesso.
Ma uno scienziato pazzo e paranoico, che sembra uscito da uno dei migliori romanzi di
Philip Dick, come può vedere la realtà? La vede come un insieme di schemi ricorrenti, come
la famosa serie del matematico italiano Fibonacci, come qualcosa di cui si può e si deve
cercare la chiave, qualcosa che spieghi tutte le combinazioni. Ma le cose si complicano:
qualcuno sa che sta cercando qualcosa e soprattutto cosa sta cercando e lo bracca, lo
osserva, gli manda segnali, gli telefona, lo avvicina, gli fa delle domande. Lui ha scoperto
qualcosa ma non lo sa ancora, ha buttato la sua scoperta: una serie di 216 numeri che
rappresenta per la setta degli Ebrei Cabalisti il nome di Dio, con cui finalmente rinsaldare
l'alleanza e per la società di brokeraggio borsistico (il Capitale in persona) una maniera di
prevedere gli andamenti della borsa, ma che in realtà è solo il canto del cigno del suo
computer ("Euclide") che dotato di un particolare programma riesce a autodefinirsi, urla il
suo nome al mondo (la serie di 216 numeri) e muore. Una storia che possiede piani
intellettuali molto forti che però non la danneggiano, non la fermano se non compresi
appieno, non la rendono ermetica. Acquistano anzi un valore accessorio che dà ritmo alla
storia. Max, in un finale bellissimo, rinuncia alla sua e si lobotomizza con un trapano,
rinuncia alla voglia di schematizzare il mondo, non vuole più parlare con Dio, si abbandona
su una panchina con un sorriso che non ha niente da invidiare a quello finale di De Niro in
C'era una volta in America. Tutto servito su un tappeto di bianco e nero contrastato, con un
montaggio superbo di dettagli geniali alternati a primi piani claustrofobici ; con una colonna
sonora da comprare appena si esce dal cinema (Orbital, Aphex Twin, Psilonaut, Massive
Attack). Anche il sito del film , curato dal protagonista Sean Gullette , è molto bello. L'unica
cosa che non ha misteri, è l'uscita nell'Agosto più caldo del Novecento di un film così bello:
basta leggere il nome del distributore.
Luca Franco
http://www.close-up.it/pn/12-99pn/positif/PiGreco.html
LINKS
Back